Max
scrive…
Ciao a tutti
amici-mici e amici dei mici, oggi vi voglio far leggere questa letterina che Lisca,
un mio caro pen-pet-friend, mi ha inviato pochi giorni fa:
“Caro Max, è
da un po’ di tempo che non ci sentiamo ma purtroppo mi è capitata una brutta avventura.
Ebbene, tu sai che ho avuto un’infanzia felice: fino all’età di quattro mesi,
infatti, ho vissuto insieme alla mamma e ai miei tre fratelli, libero di
scorrazzare tra la casa e il giardino di proprietà della mia prima famiglia. In
effetti potevo entrare ed uscire di casa, giocare con chi volevo e riposare
dove volevo. Ma soprattutto, quello che più mi piaceva era il fatto che erano
proprio loro, gli amici umani e in particolar modo la piccola Giulia, a
cercarmi per giocare, a propormi cose da fare e a chiamarmi per riempirmi di
coccole. Poi, un bel giorno, come tu sai, è arrivata Mirka, amica di Giulia, e
si è subito innamorata di me (del resto come biasimarla). Lei mi ha portato a
casa dai suoi e dopo non poche divergenze hanno deciso di adottarmi, così mi
sono trasferito definitivamente da loro. La casa è un po’ più piccola di quella di
Giulia e poi non c’è giardino ma del resto, pensavo, non si può avere tutto
dalla vita. Da subito i genitori di Mirka si sono mostrati piuttosto diffidenti
nei miei confronti: si vedeva che mi tolleravano per far piacere alla piccola.
Quindi, fin da subito hanno avuto con me un atteggiamento di indifferenza quasi
totale; del resto loro non c’erano mai a casa e l’unica a giocare con me era
Mirka. Poi, a poco a poco, anche lei ha cominciato a stancarsi di me e a
trovare mille altre cose da fare: la piscina, lo studio con le amiche, i
compiti, i giochi in cortile…insomma, per farla breve, io ero sempre da solo,
tutto il giorno. In più la mamma di Mirka, le poche volte che era a casa non
faceva altro che controllarmi:
“E non
salire sul tavolo…oddio adesso mi fai cadere il vaso da fiori…guarda quanti
peli sul divano, non ci devi più salire, capito?!”
Per non
parlare poi di quando usciva di casa: abbassava tutte le persiane così che io
rimanevo in un appartamento piccolo, senza niente da fare e per di più al buio.
Sì, è vero Max, non ti avevo mai espresso il mio disagio: quando ti scrivevo ti
dicevo sempre che stavo bene, che era tutto a posto, ma in realtà non era così.
Dentro mi sentivo rodere, avevo voglia di muovermi, di fare, ma non ne avevo la
possibilità. Quando andavo dai miei familiari e cominciavo a miagolare per
avere un po’ di considerazione, per cercare di invogliarli a stare un po’ con
me, loro capivano che avevo fame e mi riempivano la ciotola di cibo: in un anno
sono ingrassato ben 4 chili, caro Max, 4 chili! Dentro di me sentivo un’irrequietezza,
un’agitazione tale che certe volte contraevo la pelle del dorso, cominciavo a
muovere a scatti la coda e di colpo prendevo ad attaccarla facendo balzi per
cercare di prenderla soffiando a più non posso. No, non era un gioco, io stavo
male e quello era l’unico modo per cercare di darmi pace. O meglio…a dire il vero
quello non era l’unico modo: da un po’ di tempo, infatti, la sera e a volte la
mattina presto avevo cominciato a prendere di mira anche le gambe dei miei
familiari, in particolar modo quell’antipatica della mamma di Mirka! Sì, appena
si muoveva io zacchete, le saltavo addosso! All’inizio erano solo dei piccoli
agguati, ma ogni volta che l’aggredivo lei cominciava ad agitarsi, a strillare
e a rimproverarmi; così, sembra strano, ma io ci provavo sempre più gusto.
Ripeto, non era un gioco, nessuno si divertiva, era come se avessi un bisogno
irrefrenabile di farlo, una necessità da appagare. Quando gli umani rientravano
a casa la sera, dopo tutto il giorno da solo, senza avere alcun modo di placare
la mia ansia, l’eccitazione era alle stelle e io mi scatenavo in aggressioni
sempre più violente, sempre più durature e incontrollate. L’ultima sera, poi, l’ho
fatta davvero grossa: la mia aggressione è stata talmente grave da fare andare
al Pronto Soccorso la povera mamma di Mirka. Ho fatto scappare tutti di casa,
nessuno aveva il coraggio di entrare perché io non riuscivo a calmarmi. Eh sì,
ho rischiato davvero grosso, si parlava addirittura di eutanasia. Ma poi, sotto
il consiglio del mio caro vecchio vet, a cui sarò riconoscente per tutta la
vita, i miei familiari si sono messi in contatto con un vet comportamentalista.
Lui ci ha spiegato che il mio problema si chiamava (ormai sì che posso parlarne
al passato) disturbo da limitazione dello spazio o ansia da luogo chiuso (questi
strizzacervelli cambiano i nomi delle patologie ogni 2 per 3). Ebbene questo
mio stato di agitazione interna era causato non tanto dal fatto che vivessi in
un appartamento piccolo, quanto dal fatto che non avevo niente da fare, perché in
casa non c’era da fare niente, perchè i
miei non mi consideravano proprio. Lo strizzacervelli è stato davvero bravo
soprattutto perché ha fatto comprendere ai miei familiari la gravità del mio
disagio. Così mi ha prescritto subito un farmaco che mi ha aiutato a stare meglio e
a controllare la mia impulsività nel momento in cui avevo voglia di aggredire. Si
tratta di uno psicofarmaco sì, ma non mi rimbecilliva affatto, anzi mi aiutava
a gestire meglio le mie emozioni. Anche l' uso di feromoni è stato importante, mi ha aiutato a ‘sentirmi a
casa’ ma quello che mi ha fatto decisamente guarire è stato il cambiamento del
rapporto con i miei familiari: loro hanno capito finalmente che se volevano
farmi guarire dovevano starmi vicino. Così hanno cominciato a giocare con me e
a rispondere alle mie richieste di attenzione non somministrandomi cibo ma
proponendomi cose da fare tanto è vero che sono già dimagrito ben 500 grammi
(beh, da un pigrone come me non si può pretendere più di tanto). In casa adesso
posso dormire (e finalmente riesco a
dormire) dove voglio, anzi nei luoghi che ho scelto per riposarmi, la mamma di
Mirka mi ha messo dei comodi cuscini. Quando i miei escono lasciano tutte le
persiane aperte così ho la possibilità di vedere quello che succede fuori, anzi
hanno messo uno sgabello vicino alla mia finestra preferita, così posso
sbirciare meglio. E poi ho un sacco di giochini da ‘predare’ (da solo e in
compagnia dei miei, che spasso!), cibo nascosto dentro scatole di cartone,
insomma ho talmente tante cose da fare che quasi quasi era meglio prima
(scherzo naturalmente). Continuo a fare delle visite periodiche dal vet
comportamentalista che gradualmente mi sta togliendo il farmaco. Insomma, la
mia vita è davvero cambiata, adesso sì che sto bene con me stesso e con i miei
familiari, adesso sì che posso dirti di essere davvero ok! Ti marco affettuosamente…Lisca”.
Bene cari
amici, questa è la storia di Lisca, spero che vi si piaciuta ma soprattutto che
serva agli amici umani a cogliere eventuali campanelli di allarme nei
comportamenti dei loro amici con la coda perché come ben sappiamo…prima si
interviene…Maoooooo!!!